Licenza di Porto d’armi uso caccia
Questura condannata alle spese legali per soccombenza.
Denunce per minacce tra familiari, vicini di casa e altre diatribe del genere sono cose che accadono tutti i giorni.
Si premette che ultimamente diversi Tribunali Amministrativi Regionali, giustamente, stanno condannando al pagamento delle spese legali Questure e Prefetture secondo il principio della soccombenza, se il provvedimento viene annullato perché carente sotto il profilo motivazionale e illogico e per tanto annullato
In sintesi la Questura non può rifiutare il rilascio del porto d’armi ad una persona basandosi su una sorta di “ripetizione” di fatti risalenti nel tempo, basandosi su una sorta di “ copia e incolla” di fatti passati.
Occorre una puntuale istruttoria ed una valutazione attuale della persona che richiede il porto d’armi, non basta richiamare passati episodi e precedenti di polizia oppure semplici denunce fatte da mogli, familiari e/o da terze persone per motivi pretestuosi e per banali litigi.
Se per ogni banale litigio familiare o con terze persone si dovrebbe negare il porto d’armi, in Italia non vi sarebbero più persone con licenze di porto d’armi per tiro sportivo, per uso venatorio, per difesa personale e per lavoro.
La Questura non può “appoggiarsi” acriticamente ad esempio su denunce di minacce e altri eventuali procedimenti penali per negare la licenza di porto d’armi e poi magari non dare valore alla archiviazione oppure alla assoluzione dell’interessato.
Non si può usare a proprio piacimento il precedente di polizia, il procedimento penale, e quant’altro semplicemente per negare il rilascio del porto d’armi con una istruttoria superficiale.
I funzionari di Questura sono pagati per fare il loro lavoro con diligenza e dovizia e non per rigettare le richieste del porto d’armi, peccando di superficialità nella istruttoria e rigettando semplicemente perché il rigetto del porto d’armi è la soluzione più semplice e meno impegnativa.
Con la sentenza del 02.01.2023 il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha condannato la Questura al pagamento delle spese processuali.
Non si può ostinatamente negare il porto d’armi ad una persona nel nome di quel principio di discrezionalità che non significa assolutamente libero arbitrio.
Per usare le parole di una autorevole dottrina, il cittadino che va a chiedere il rinnovo o il rilascio del porto d’armi non è un “suddito” del regno della burocrazia ma è un cittadino e in quanto tale ha diritti, obblighi, legittimi interessi e doveri.
In questo caso specifico l’interessato si era visto negare il porto d’armi per una serie di segnalazioni, per qualche denuncia per minaccia da parte di familiari e di qualche altro procedimento penale concluso addirittura con l’archiviazione.
Il Tribunale Amministrativo bene ha fatto ad annullare il diniego e a condannare alle spese la Questura.
Nella sentenza in commento il Tar ha evidenziato una ripetuta carenza di istruttoria rispetto ai rilievi mossi dalla difesa dell’interessato.
L ’amministrazione non ha provveduto alla valutazione sulla inaffidabilità attuale del richiedente, omettendo di indicare le circostanze precise, evidenziando l’evidente omissione di ogni approfondimento sulla situazione attuale del ricorrente in ordine alla potenzialità di abuso delle armi.
Segnatamente il Tribunale Amministrativo ha evidenziato che il Questore, proprio per l’ampio trascorrere del tempo, ben poteva agevolmente verificare l’esito delle denunce penali che si erano concluse positivamente per l’interessato in particolare le presunte minacce familiari.
In sostanza, l’Amministrazione pur nell’ampia discrezionalità nel rilascio della licenza di porto d’armi, non può in perpetuo ripetere precedenti ma deve comunque valutare, l’attualità, l’idoneità del richiedete all’uso delle armi.
Infine la sentenza richiamata, ha ribadito il principio giurisprudenziale secondo cui: “è illegittimo il rigetto di rilascio della licenza di porto di fucile per uso caccia disposta dal Questore se il diniego non è adeguatamente motivato, dato che non è sufficiente citare i precedenti giudiziari, nel vagliare l’istanza dell’interessato, deve essere svolta un’istruttoria congrua e completa di cui si deve dar conto in motivazione, che consenta una valutazione complessiva del soggetto, tenendo conto anche del percorso di vita del richiedente successivo agli episodi contestati, e ciò in particolare laddove tali episodi siano risalenti nel tempo e sussistano ulteriori elementi, pure emergenti dagli atti, che avrebbero consentito all’Amministrazione una valutazione sull’affidabilità “ attuale” del soggetto ( Cons. Stato, Sez. III, 20.5.20, n. 3199 e Tar Campania, sez. V, 30.3.20, n. 1302)”.
Per completezza espositiva, se una persona riceve un preavviso di diniego del rilascio e del rinnovo della licenza di porto d’armi, deve subito intervenire nel procedimento con un difensore esperto della materia, che puntualmente colpo su colpo faccia emergere le contradizioni e le incongruità, non dando modo alla Questura di poter motivare facilmente come per dire che le memorie fatte senza l’aiuto di un professionista esperto della materia delle armi, difficilmente potranno sortire effetti.
Delle memorie ben fatte e articolate, la partecipazione al procedimento con un professionista adeguato a questa specifica materia, potranno sortire effetti positivi sia in sede procedimentale sia successivamente in seguito all’eventuale ricorso.
Come per dire, impostando bene il tutto sin dall’inizio porta la parte ad avere ragione e vincere l’eventuale ricorso, facendo emergere subito le contradizioni dell’amministrazione.
Presentare osservazioni “ fai da te” non è la soluzione ideale.
Conclusioni: il ricorso è stato vinto e la Questura è stata condannata al pagamento delle spese perché non si può negare una licenza di porto di fucile con una istruttoria superficiale e senza tener conto delle osservazioni e degli elementi portati a discarico con una valutazione non attuale e concreta e in mancanza di una adeguata motivazione.
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