Oggi parliamo di un caso molto importante dove il TAR ha condannato la Prefettura al pagamento delle spese legali, alla refusione a favore del  ricorrente del contributo unificato, oltre alla condanna per oneri di legge. In questo caso si può dire che il TAR ha “messo le cose a posto”.

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Premesso che procedimento penale e procedimento amministrativo delle armi corrono su due “ binari paralleli”, nel caso trattato vedremo come l’assoluzione dal procedimento penale, ha determinato un cosi detto “ fatto nuovo” per chiedere il riesame e revoca del divieto armi.

IL FATTO

Il ricorrente è stato denunciato per minacce e a seguito della denuncia la Questura ha provveduto a revocare la licenza di porto di fucile uso caccia e la Prefettura ha emesso un divieto detenzione armi, non impugnato con ricorso giurisdizionale.

A seguito della assoluzione, l’interessato ha presentato una istanza di riesame e revoca in autotutela alla Prefettura, per chiedere di eliminare il divieto detenzione armi.

Siccome la Prefettura non ha mai risposto alla istanza di revoca del divieto, l’interessato ha agito in giudizio al fine di ottenere l’accertamento dell’illegittimità del silenzio e ottenere una condanna della amministrazione.

La giurisprudenza amministrativa, con un indirizzo ormai costante e consolidato, ha avuto modo di precisare come il divieto detenzione delle armi non possa avere efficacia “sine die” evidenziando che, in presenza di “sopravvenienze” fattuali, il divieto va riesaminato.

Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata “ipotesi nelle quali è configurabile un obbligo di provvedere sulle istanze dei privati, affermando che tale obbligo sussiste, oltre che nei casi espressamente previsti da una norma, anche in ipotesi ulteriori nelle quali si evidenzino specifiche ragioni di giustizia ed equità che impongano l’adozione di un provvedimento (cfr. Cons. Stato, IV, 14-5-2010, n. 3024; VI, 11-5-2007, n. 2318, principi ribaditi anche da Consiglio di Stato, sez. VI, 09/01/2020, n.183 e Cons. Stato, Sez. II, Sent., 21/04/2023, n. 4038).

In presenza di “ fatti nuovi ” ovvero di sopravvenienze l’Amministrazione non può in alcun modo non tenerne conto, essendo ciò una diretta applicazione del principio di buona fede nei rapporti tra la P.A. ed il privato, previsto dall’art. 1, comma 2 bis della L. n. 241 del 1990 e ss.mm. (conf., di recente, T.A.R. Lazio Roma, Sez. IV quater, Sent., 06/12/2024, n. 22042).

Il tribunale amministrativo regionale, in questo caso ha rilevato, che le intervenute citate pronunce di assoluzione rappresentino “ sopravvenienza ” di rilievo in quanto in conseguenza delle denunce e dei conseguenti procedimenti penali, che l’Autorità di P.S. si è determinata ad emetterre il divieto detenzione armi.

Fermo restando l’ampio spettro discrezionale nel quale può muoversi la Prefettura, la specifica posizione nella quale viene a trovarsi l’interessato, fa sorgere, in capo a quest’ultimo una posizione legittimante l’interesse all’ottenimento di una pronuncia espressa che dia conto del vaglio dei nuovi elementi acquisiti.

In proposito la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di affermare che in un simile  contesto il generale obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di revisione del divieto armi del privato, ai sensi dell’art. 2 della L. n. 241 del 1990 e ss., trova piena riespansione a fronte della sussistenza di obblighi di buona fede e corretta amministrazione che impongono all’amministrazione di determinarsi espressamente, sulla base di un nuovo procedimento amministrativo e di una rinnovata istruttoria, tenendo conto della nuova prospettazione della situazione di fatto e di diritto connessa alla istanza dell’interessato.

Secondo il ragionamento del tribunale amministrativo sent. 30.01.25 tar sardegna, l’art. 39 del R.D. n. 773 del 18 giugno 1931, a differenza di altre fattispecie normative, non stabilisce una durata limitata nel tempo al divieto che il Prefetto può imporre.

Pertanto, deve ritenersi che ragioni di giustizia impongano all’Autorità di P.S. di attivare, a fronte della specifica istanza dell’interessato, che prospetti la sopravvenienza di fatti nuovi, un procedimento di riesame.

 Quando si verifichi un mutamento fattuale, l’Amministrazione deve farsi carico di una nuova valutazione, alla luce del comportamento successivamente tenuto dall’istante, della sua complessiva personalità e di ogni altro elemento utile in funzione del rinnovato giudizio sull’affidabilità nell’uso delle armi.

Tutto questo risulta coerente con il fatto che la potestà attribuita dalla norma all’Autorità di p.s. è giustificata, sotto il profilo funzionale, dalle esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, anche con finalità di prevenzione.

Secondo il tribunale amministrativo, un’interpretazione di segno contrario, alla possibilità di riesame e revoca su istanza, farebbe sorgere seri dubbi sulla legittimità costituzionale della disciplina in argomento, in relazione al principio di buon andamento dell’amministrazione pubblica (art. 97 Cost.) ed ai connessi canoni di ragionevolezza e proporzionalità, non rispondendo ad alcun interesse pubblico la protrazione a tempo indeterminato del divieto laddove sia venuta meno l’attualità del giudizio di pericolosità in precedenza espresso.

CONCLUSIONE

Il Tribunale Amministrativo Regionale, ha condannato la Prefettura  a provvedere sulla istanza di riesame e revoca del divieto detenzione armi, nonché al pagamento delle spese legali, alla refusione del contributo unificato oltre agli oneri accessori come per legge.

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Avv. Sassano

Di Avv. Sassano

Avv. Sassano Costantino Valentino, laureato in Giurisprudenza presso L' Alma Mater Studiorum UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI BOLOGNA. Consulente Tecnico Esperto e Master in BALISTICA FORENSE. Esperto e Consulente Tecnico di BALISTICA VENATORIA. Master in AMMINISTRAZIONE E GESTIONE della Fauna Selvatica

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